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Il tuo TFR andrà direttamente nel fondo pensione: cosa devi fare da gennaio per impedirlo

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L’Italia si appresta a un cambiamento epocale nell’ambito della previdenza complementare con l’introduzione del silenzio assenso.

Questa innovazione normativa, fortemente voluta dalla Lega e dal sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, rappresenta una svolta rispetto al sistema attuale, in cui è il lavoratore a dover esprimere attivamente la volontà di destinare il proprio TFR a una forma di previdenza complementare.

Con l’entrata in vigore del nuovo decreto, ogni lavoratore che inizierà un nuovo rapporto di lavoro vedrà il proprio TFR indirizzato automaticamente al fondo pensione previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) applicato, senza necessità di compilare alcun modulo o presentare richieste specifiche. Il datore di lavoro sarà quindi responsabile del versamento diretto delle quote di TFR maturate nel fondo pensionistico di riferimento.

Il lavoratore potrà opporsi a questo automatismo, ma dovrà farlo in modo esplicito entro i termini che saranno definiti dalla regolamentazione attuativa, comunicando al datore di lavoro la volontà di mantenere il TFR secondo le modalità tradizionali, come la liquidazione in busta paga o il mantenimento presso l’azienda o l’INPS.

Questa scelta normativa si fonda sul principio di “architettura delle scelte”, un concetto di economia comportamentale che mira a favorire l’adesione alla previdenza complementare rendendola l’opzione predefinita, confidando nel fatto che molti lavoratori manterranno questa impostazione per inerzia o per evitare complicazioni burocratiche.

Fondi pensione di categoria e gestione del TFR in caso di cambio lavoro

Un aspetto cruciale, spesso fonte di dubbi per i lavoratori, riguarda cosa accade al TFR in caso di cambio di azienda e conseguente adesione a un diverso CCNL. I fondi pensione negoziali di categoria sono infatti riservati a specifiche categorie professionali definite da accordi tra sindacati, associazioni di categoria e datori di lavoro.

Se un lavoratore aderisce con il proprio TFR a un fondo di categoria, come ad esempio il Fondo Cometa (per il CCNL Metalmeccanico), e cambia azienda passando a un contratto regolato da un diverso CCNL (ad esempio il CCNL Terziario Commercio con il fondo Fon.Te), il TFR maturato non potrà più essere versato nel vecchio fondo. In questo caso, il lavoratore ha due opzioni principali:

  • Trasferire l’intero ammontare accumulato nel vecchio fondo nel nuovo fondo pensione di categoria previsto dal nuovo contratto collettivo. Tale trasferimento estingue il fondo precedente e concentra i risparmi in un unico strumento.
  • Riscattare il fondo pensione precedente, cioè ottenere la liquidazione dell’intero importo accumulato, con la conseguenza di perdere i benefici fiscali legati alla previdenza complementare e la data di prima adesione, fondamentale per la tassazione agevolata sulla posizione pensionistica.

Il trasferimento mantiene la data di prima adesione originaria, un elemento cruciale perché determina la tassazione finale applicata al momento del pensionamento: più lunga è la permanenza nella previdenza complementare, più bassa sarà la tassazione (che può scendere dal 15% fino al 9% dopo 35 anni).

La normativa consente il trasferimento anche prima dei due anni canonici in caso di perdita dei requisiti minimi di partecipazione al fondo, come appunto il cambio di settore o CCNL.

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Le sfide finanziarie e il ruolo di Claudio Durigon- reteriservealpiledrensi.tn.it

L’introduzione del meccanismo del silenzio assenso per il TFR non è priva di ostacoli. Il principale nodo riguarda la copertura finanziaria, poiché il trasferimento del TFR dai tradizionali canali all’INPS ai fondi pensione sottrae liquidità immediata all’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, che utilizza queste risorse per far fronte ai pagamenti correnti delle pensioni. Le stime del Ministero dell’Economia indicano una minore disponibilità di circa 500-600 milioni di euro.

Il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, figura chiave nella promozione della riforma, ha sottolineato la necessità di superare le resistenze contabili, evidenziando come il rafforzamento della previdenza complementare rappresenti un investimento strategico per il futuro previdenziale del Paese. Durigon, già noto per il suo impegno nel settore del lavoro e della previdenza, è tornato in carica nel novembre 2022 nel governo Meloni come sottosegretario al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ruolo dal quale ha rilanciato questa importante iniziativa normativa.

La sua esperienza sindacale e politica, unitamente al suo attuale incarico e al ruolo di vicesegretario della Lega, lo rendono un protagonista centrale nel percorso di riforma della previdenza complementare in Italia.

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