Una legge europea ancora poco nota può ribaltare gli equilibri sul lavoro e portare a risarcimenti importanti. Ecco cosa sta emergendo.
C’è chi pensa che sullo stipendio non ci sia molto da fare, soprattutto quando la differenza rispetto ai colleghi sembra “normale” o difficile da dimostrare. Eppure, qualcosa sta cambiando in profondità. Negli ultimi mesi, una normativa europea ha iniziato a far parlare di sé perché offre ai lavoratori strumenti concreti per reagire alle disparità retributive. In molti casi, basta presentare il documento giusto per avviare un percorso che può portare a un risarcimento pieno, anche a distanza di tempo dalla fine del rapporto di lavoro. Una possibilità che fino a poco fa sembrava impensabile.
La legge europea che ribalta il peso delle prove
Al centro di tutto c’è la direttiva UE 2023/970, approvata per rafforzare la trasparenza salariale e contrastare in modo efficace la discriminazione retributiva, in particolare quella legata al genere. L’Italia dovrà recepirla entro il 2026, ma i suoi effetti sono già chiari e stanno attirando l’attenzione di lavoratori e addetti ai lavori. Il principio è semplice ma dirompente: a parità di mansioni e competenze, lo stipendio deve essere uguale, senza eccezioni giustificate da criteri opachi.
La vera novità riguarda però il modo in cui ci si difende. Non è più il dipendente a dover dimostrare in modo pieno di essere stato discriminato. È sufficiente fornire elementi ragionevoli che facciano presumere una disparità. A quel punto, l’onere passa all’azienda, che deve spiegare e provare perché quella differenza retributiva sarebbe legittima. Un cambio di prospettiva che riequilibra un rapporto storicamente sbilanciato.
Un altro aspetto cruciale è l’accesso alle informazioni. La direttiva consente ai giudici e alle autorità competenti di ordinare al datore di lavoro la produzione di documenti e dati utili, anche se riservati. Questo significa che non ci si può più nascondere dietro la mancanza di trasparenza interna. Le prove, se necessarie, possono essere acquisite tutelando la riservatezza ma senza sacrificare il diritto del lavoratore.

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Importante anche il tema dei tempi. La prescrizione non inizia a decorrere finché il dipendente non è effettivamente in grado di rendersi conto della violazione. Inoltre, il termine può essere sospeso o interrotto nel momento in cui si presenta un reclamo o si avvia un’azione, anche tramite sindacati o organismi per la parità. Questo amplia notevolmente le possibilità di tutela, anche dopo la cessazione del rapporto.
Se la discriminazione viene accertata, il risarcimento è pieno e senza tetti massimi. Non si parla solo di stipendi arretrati, ma anche di bonus, benefici collegati, opportunità perse e danni non patrimoniali come la lesione della dignità professionale. Parallelamente, sono previste sanzioni economiche per le aziende, che potranno arrivare fino a misure incisive come l’esclusione da benefici pubblici.
Questa normativa segna un passaggio decisivo: la parità retributiva non è più solo un principio astratto, ma un diritto concreto e azionabile. Per molti lavoratori, presentare quel documento al datore di lavoro può davvero fare la differenza.
Ho presentato questo documento al mio datore di lavoro e mi ha risarcito: la Legge che nessuno conosce - reteriservealpiledrensi.tn.it






